martedì, gennaio 10, 2006

CITTA' PLURALE

Nel sito CITTA' PLURALE ho visto un'esperianza veramente bella ed interessante, basata sul concetto della CITTADINANZA ATTIVA, di un'associazione di cittadini che ci potrebbe dare utilissimi spunti per la strada da seguire, anche da noi, a Carmagnola

Fra le altre cose c'è un'articolo, pubblicato in Micromega n. 2/2005 di Franco Cassano, intitolato, "La politica dei cittadini",
dal quale mi sono permesso (per brevità) di estrarre le parti che ritengo più significative ed utili alla nostra riflessione.

......LA POLITICA DEI CITTADINI.......

"....In altre parole un governo che si proponga di arrestare ed invertire il declino italiano mobilitando le migliori energie del paese, richiede allo schieramento del centrosinistra un salto politico e culturale di grande livello. Prodi rappresenta bene l'esigenza che lo spirito e la guida della coalizione contino molto di più dei partiti, ma questa esigenza deve tradursi in qualcosa di più di un vago riconoscimento della sua leadership. S'incontra qui un tema cruciale, quello della necessità di riformare in modo profondo i luoghi comuni del centrosinistra, la sua idea del rapporto tra politica e società. La frantumazione non va combattuta solo dall'alto, ma anche dal basso, attraverso il riconoscimento del fatto che in questi anni è finito il monopolio dei partiti sulle grandi decisioni politiche e lo spazio pubblico si è arricchito della presenza di nuovi soggetti.



LA FINE DEL MONOPOLIO DEI PARTITI

....CONTINUA.....

Questa rivendicazione non nasce da una banale deriva antipolitica, oppure dal disegno di sottoporre i partiti del centrosinistra al ricatto delle parti più radicali del loro elettorato, come alcuni commentatori superficiali hanno sostenuto. Il processo che sta all'origine di questo fenomeno è più complesso e più drammatico. Per tutta la prima fase dell'Italia repubblicana i partiti hanno rappresentato un'articolazione essenziale della democrazia, la forma principale se non esaustiva di associazione politica dei cittadini. Essi erano ispirati da grandi opzioni ideali, che ne facevano dei punti di riferimento per larghi settori della società civile. Tutti ricordano che i grandi partiti di massa erano abitati da forme estese di militanza e lavoro volontario, perché per molti l'iscrizione ad un partito non preludeva ad una "carriera", ma era soprattutto l'espressione del desiderio di offrire un contributo alla causa con cui aveva scelto di identificarsi: l'impegno costituiva esso stesso una ricompensa, non aveva bisogno di mercedi, cariche e poltrone. Certo, spesso questa dedizione andava a discapito della sovranità dell'iscritto e ne limitava fortemente la libertà di critica, ma costituiva anche un vincolo per i gruppi dirigenti, un limite imposto ai loro comportamenti, un criterio per giudicarne l'adeguatezza.

Oggi, nel bene e nel male, i partiti non sono più questo: da tempo non sono più abitati dal dibattito ideale né dal lavoro volontario, e rassomigliano molto più che ad associazioni aperte alle nuove adesioni, ad agenzie di collocamento per professionisti della politica, ansiosi di riscattare gli anni di militanza con candidature, carriere e poltrone .......

Sia ben chiaro: nessuno pensa di contrapporre a questo impoverimento della politica una sorta di verginità della società civile, che spesso è stata complice dei processi degenerativi dei partiti. Magari fosse tutto così semplice! I politici che hanno svenduto il territorio condonando le speculazioni selvagge, hanno sempre avuto larghi consensi elettorali. La società civile è spesso attraversata da un privatismo, che riversa senza mediazioni nella politica, realizzando con essa un patto perverso......

Quindi non basta dire società civile, occorre dire molto di più, occorre dire cittadinanza e soprattutto cittadinanza attiva, cura dei beni comuni. ..... La cittadinanza attiva va nella direzione esattamente opposta, mira alla ricostruzione delle virtù civili, vede nella politica l'unica forma di comunità che non mette a rischio la libertà, ma la custodisce, proprio perché la spinge a non rimanere chiusa in se stessa.

Già Tocqueville metteva in guardia contro il dispotismo che nasce all'ombra della dispersione individualistica: "Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla di uomini uguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri". L'uscita dall'isolamento, l'associazione tra i cittadini è il primo passo .... La storia dello sviluppo della democrazia, dalla nascita dei partiti e dei sindacati alle grandi battaglie per la difesa dei diritti civili e sociali, è impensabile senza la grammatica dell'associazionismo e della cittadinanza attiva.


LA CITTADINANZA TRA LOCALE, NAZIONALE E GLOBALE
Ma come fare per battere il privatismo e per ridare forza alla passione civica? E' sempre Tocqueville a darci alcune utili indicazioni su come procedere. Per evitare che il bene comune appaia pericolosamente astratto, lontano dall'abbagliante concretezza del qui ed ora, dell'utile individuale di breve periodo, è necessario partire dalla sua individuazione su scala locale. Il bene della comunità locale è una forma "bene intesa" dell'utile individuale, è una nozione lungimirante di esso. Il grande merito dei legislatori americani, continua Tocqueville, è stato quello di dare una vita politica a ogni parte del territorio, così da moltiplicare all'infinito per i cittadini le occasioni di agire insieme e per far loro sentire che dipendono gli uni dagli altri.

E' per questa ragione che l'associazionismo deve partire da un radicamento territoriale, dalla cura dei beni comuni su piccola scala, da un patriottismo civico che lo sottragga alle oscillazioni della politica nazionale, rendendo costante e quotidiana la mobilitazione dei cittadini. Ovviamente la scala locale può essere anche una trappola, ma chi ha mangiato la mela della cittadinanza non si ferma certamente ai confini del proprio comune, e pretenderà prima o poi di sottrarre anche il pianeta alla privatizzazione e mercificazione selvaggia. L'aria, il clima, il mare e l'acqua vanno ben oltre l'angustia del nostro orizzonte, e per essere tutelati richiedono uno sguardo largo, mobilitazioni estese e fraternità globali. Chi si è allenato su scala locale ad un'etica in cui la libertà è in primo luogo esercizio della responsabilità civica, sa bene che dal mondo non ci si può difendere, ma lo si deve cambiare.

La scelta della scala locale non nasce quindi da un'indulgenza vernacolare, ma da un suggerimento dei classici. Essa è la scuola elementare della cittadinanza, il primo passo della lotta contro la deriva privatistica della società civile. Muovendo da ciò che ci è più vicino diventa più facile combattere quell'individualismo radicale che, titillato quotidianamente dalle forme dominanti del lavoro e del consumo, chiude il singolo nella morsa del suo interesse privato di breve periodo. Perché questo è il vero problema: come rendere plausibile un'idea di ricchezza, nella quale l'ambiente, la salute e l'istruzione non siano merci, ma beni a disposizione di tutti i cittadini? Solo un impegno molecolare e quotidiano nella difesa dei beni comuni può sbarrare la strada alla deriva liberista e al suo carico di disuguaglianze ed ingiustizie.

Anche la politica va sottratta a qualsiasi forma di privatizzazione, di riduzione ad affare specialistico di un ceto. La politica come professione ha una nobile tradizione, ma oggi è molto diversa da come la dipingeva Max Weber e rassomiglia molto di più a quel disincanto individualistico che è il nemico principale. Certo, la passione può spingerci oltre misura, ma il cinismo in questi anni è andato ben oltre, occupando quasi tutto il campo. E' solo da una grammatica sentimentale diversa da quella dominante che la politica potrà ripartire. Certo, essa ha bisogno anche di ragione e lucidità, flessibilità e senso del limite. Ma queste qualità non possono andare da sole perché non rispondono alla domanda cruciale: per che cosa vale la pena impegnarsi, vivere e lottare?

Non abbiamo parlato di fine dei partiti, ma solo della fine del loro monopolio, della necessità impellente di costruire uno spazio più largo ed aperto, attraversato da una pluralità di soggetti. Che la fine di questo monopolio non coincida con la fine dei partiti dipende solo da loro. Essi dovranno imparare a muoversi in uno spazio nel quale non sono più protetti, dove non ci sono più rendite di appartenenza, ma solo la circolazione e il confronto delle idee. Il partito capace di muoversi in queste nuove condizioni, di confrontarsi con cittadini autonomi ed esigenti, potrebbe intercettare spinte ed idee, anche se esse mettono in discussione equilibri e carriere costruite in decenni. Se fosse capace di osare questo, diventerebbe sicuramente più forte e rispettato. Chi scrive queste righe sui partiti non ha un pregiudizio, ma solo un giudizio. Spetta ad essi farlo cambiare. Ma la premessa di tutto è che rinunzino a gridare alla lesa maestà.

Da uno spazio pubblico più largo e plurale la politica uscirebbe più forte e radicata, più capace di mobilitare le migliori energie, di conferire alla sfida del governo quell'autorevolezza che essa richiede. Ma i tempi sono stretti, e tenaci e diffuse sono le resistenze. Una grande politica, quella di cui il paese ha un drammatico bisogno, non nasce dalla tutela di piccole rendite o piccole ambizioni. Qui sta il problema.

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1 A. de Tocqueville, La democrazia in America, Rizzoli, Milano 1992, p.732
2 Ivi, p. 520.